Ci avevano detto che la tecnologia avrebbe migliorato le nostre prestazioni lavorative, facilitato le comunicazioni, rimpicciolito il mondo, velocizzato ogni processo produttivo, liberando così del tempo prezioso che avremmo potuto spendere per fare altro. Quello che non ci avevano detto è che in cambio la tecnologia ci avrebbero rubato la vita, insinuandosi subdolamente nelle anse delle nostre giornate, occupando senza permesso ogni minuto libero della nostra vita, già compressa, perennemente in equilibrio fra lavoro, famiglia, sport (poco) e faccende domestiche. E ora ci ritroviamo schiavi di un dispositivo che portiamo sempre con noi come fosse un talismano porta fortuna e invece è una pericolosissima rampa di lancio che ci catapulta nel mondo della distrazione continua dove si vive nell’illusione che ogni cosa sia a portata di mano.
Non lo è. Magari possiamo comprare con un clic un prodotto in Nuova Zelanda pensando che le sue spiagge paradisiache siano dietro l’angolo, ma i rapporti con le persone sono rimasti complicati come nell’era giurassica dei telefoni a gettoni, anzi forse lo sono ancora di più per colpa della mediazione di una comunicazione spesso virtuale, la conoscenza è ancora una conquista faticosa, frutto della stratificazione delle informazioni e non di una rapida occhiata su wikipedia, il processo di consapevolezza lungo e talvolta doloroso, richiede tempo, costanza, coraggio e molta forza di volontà. Il contrario della tecnologia che offre sempre la strada più breve, il passatempo a portata di mano, la facile abbuffata di immagini e parole, l’immediatezza degli scambi nella distanza siderale fra le anime, imbrigliandoci nell’ipnosi di un’accessibilità senza limiti, diventata il più potente antidoto contro la noia.
Voglio iniziare il nuovo anno con un solo proposito, anche se sarà controproducente per il futuro di questo blog che ahimè ancora ha bisogno dei social network per farsi conoscere: voglio tenere a bada il mio cellulare, chiuderlo bene in tasca mentre sono in coda alla cassa del supermercato, sto guidando, sto aspettando nella sala d’attesa di un medico. Senza finire nell’eccesso opposto, oramai anacronistico, voglio usarlo solo quando è necessario, per comunicare le cose importanti, riducendo i giri sui social a una volta al giorno e non di più, ricordandomi di spalancare gli occhi prima di puntare la telecamera e scattare una foto. Voglio imparare a dominare il gesto istintivo di prenderlo in mano in ogni momento anche quando non ha dato segni di vita, distraendomi continuamente da quello che sto facendo e sovraccaricandomi di informazioni spesso del tutto inutili. Voglio provare, perché ho il sospetto che la qualità della mia vita potrebbe essere migliore. La tecnologia genera dipendenza, è provato, e se non impariamo a dominarla finisce per portarci via la parte migliore della nostra vita, quella vera, fatta di gioie e dolori, incontri, sfide, vittorie, delusioni e batticuori. Si salvi chi può.
Photo by Pavan Trikutam