Indirizzi da segnare per quando si potrà di nuovo mangiare fuori, a Milano o altrove, perché prima o poi succederà. Ecco il senso dei pranzi “sospesi”, una rubrica pensata per queste settimane di grande incertezza, con i ristoranti aperti a singhiozzo e possibili nuove chiusure all’orizzonte. Per chi non vede l’ora di tornare a scegliere da un menu e per chi, nonostante le concessioni governative, ancora non si sente sicuro a condividere il momento del pasto con decine di sconosciuti (senza mascherina). Insomma, ognuno usi i consigli come crede: l’occasione per una gita fuori porta nel vuoto dei giorni fra Natale e la Befana, oppure l’obiettivo per la bella stagione, quando l’incubo del Covid sarà finalmente sfumato.
Ristorante Defilippi. Serietà, sostanza e giusta rudezza come vuole lo spirito piemontese. Ecco cos’è il ristorante Defilippi che da 102 anni serve le colline di fianco a Torino (località Bussolino di Gassino) con un menu tradizionale che segue ancora le ricette dei nonni. Il carrello dei formaggi è un tripudio all’italianità, quello dei dolci un tuffo negli anni Ottanta, con il bonet (cioccolato e amaretto), il montebianco e la panna cotta. Mentre lo zabaione caldo viene preparato espresso dal cameriere che monta le uova direttamente al tavolo: uno spettacolo d’altri tempi. Il resto è un copione oliatissimo: antipasto misto con lingua in salsa verde, terrina di pollo, affettati misti, verdure in agrodolce; il classico fritto alla piemontese dolce e salato, la bagna cauda (per chi la digerisce) e il bollito misto con sette pezzi di carne diversi (in autunno). I primi sono ottimi e arrivano espressi ancora nella padella di rame. Insomma, una garanzia in stile sabaudo. Una nota in era Covid: le sale sono molto grandi, quindi spesso affollate.

Antico ristorante Fossati. Stesso genere ma in versione brianzola, a Canonica Lambro (30 km da Milano): un posto di grande fascino, soprattutto l’entrata e il piano terra, dove è rimasta l’atmosfera dell’antico casolare, un tempo locanda, si dice sosta perfino di Ludovico il Moro nel Rinascimento. Il menu è un classico, ancora preparato seguendo le ricette della tradizione: dall’antipasto di affettati e formaggi con polenta (arriva ancora calda) alla giardiniera, dal vitello tonnato al risotto alla milanese con midollo (buono). Gli ingredienti sono pochi e di qualità, il personale cortese, le sale al primo piano di diverse dimensioni (e quindi a distanziamento variabile), alcune piccole e raccolte altre molto ampie. Io ho mangiato i maccheroni al pomodoro, un test quasi infallibile per valutare la genuinità delle materie prime. Erano ottimi. Prezzi leggermente alti per essere in campagna, ma non folli.
