Sarete catapultati oltre i confini dell’immaginabile, fra gigantesche montagne di ghiaccio e distese di neve, cani da slitta, renne, caccia alle foche ed eschimesi. Sarete immersi in panorami solitari e silenziosi, dove l’uomo combatte per la sopravvivenza in una quotidianità che ricorda gli albori della storia, quando si pescava con la lancia, ci si muoveva trainati dagli animali, si dormiva sotto un cielo che fa impressione da quanto è pieno di stelle. Sono davvero affascinanti le atmosfere dell’estremo Nord protagoniste della mostra Artico. Ultima frontiere in programma alla Triennale fino al 25 marzo (ingresso libero): 60 fotografie di Ragnar Axelsson (autore della foto del post), Carsten Egevang e Paolo Solari Bozzi, maestri del reportage che raccontano la Groenlandia, l’Islanda, la Siberia e la popolazione inuit, un tempo chiamati eschimesi, oggi composta solamente da 150 mila persone. Praticamente un quartiere di Milano.
Sarà che a me il Nord ha sempre incuriosito moltissimo, sarà che in questi giorni inizio a sognare le vacanze estive, immaginando mete deserte e incontaminate (se ancora esistono), ma ho trovato questa mostra potente e poetica. Un spunto di riflessione non solo sul problema del riscaldamento globale e della sopravvivenza di paesaggi naturali bellissimi che l’uomo sta mettendo in pericolo (“Queste immagini potrebbero essere l’unica cosa che ci rimane dell’Artico” scrive il curatore Denis Curti), ma anche sulla nostra comoda vita da occidentali, stravaccati fra lussi e sprechi, sempre alla rincorsa di una felicità che cerchiamo nelle cose materiali invece che nel silenzio di un panorama mozzafiato.
Un adagio urbano perfetto, che richiede poco tempo e ricambia con tanta bellezza. Peccato solo che l’allestimento sia così essenziale: il racconto di viaggio dei tre fotografi avrebbe aiutato lo spettatore a entrare più a fondo nella vita di questa parte di mondo così remota. “Dobbiamo realmente ammirare gli abitanti della Groenlandia: che siano umani o animali essi vivono ogni giorno al limite del possibile” scrive il fotografo Carsten Egevang. Da loro io vorrei imparare che si può vivere con molto meno, anche in condizioni ben più estreme della nostra.