Copenaghen, capitale dell’adagio urbano

Quando mi sono licenziata, ormai sei anni fa, pensavo che l’adagio urbano fosse un esercizio tutto personale, un bisogno di riappropriarsi del proprio tempo che ognuno di noi doveva imparare a coltivare per conto suo. Credevo che un aiuto da parte delle istituzioni avrebbe potuto favorire il processo di cambiamento, ma ero convinta che qualunque provvedimento sarebbe stato inutile di fronte all’incapacità delle persone di rallentare. Poi sono stata a Copenaghen e ho scoperto che anche una città, seppur grande, affollata, produttiva, interessante e vivace, può andare adagio. Sapevo che nei paesi del Nord la qualità della vita fosse da anni migliore della nostra – sempre in fondo alle classifiche – , sapevo che i danesi sono noti per essere il popolo più felice del mondo, ma vivere quattro giorni nella capitale mondiale dell’adagio urbano è stata una bella sorpresa.

La città è grande come Milano eppure nessuno usa l’auto, il traffico non esiste, tutti pedalano su ampie piste ciclabili che evidentemente rubano parcheggio alle macchine, ma pazienza. In quattro giorni sono riuscita a vivere senza avere in tasca neanche una corona danese: tutti i negozi, ristoranti, bar, musei, baracchini dove sono stata hanno accettato il denaro elettronico anche per l’importo di un caffè. Il venerdì alle 17.30 i danesi sono già lungo i canali a bere l’aperitivo (nella stagione estiva), e vedeste la civiltà di quelle sponde, altro che Darsena. Molti cortili condominiali sono stati trasformati in piccoli giardini con tavoli di legno per mangiare e giochi per i bambini. Sarò stata fortunata ma tutte le persone con cui ho avuto a che fare mi hanno sorriso, e non è un dettaglio da poco. La gita della domenica si fa in treno: si caricano le bici, i biglietti si comprano alle macchinette, anche nelle stazioni minori, e gli orari vengono rispettati. Infine, i cellulari: niente selfie, niente conversazioni a tavola, mai avvistata una persona che digita compulsivamente per la strada. Ora la vera domanda è: per avere una città che vada un po’ meno di corsa vengono prima i provvedimenti amministrativi o la volontà dei singoli individui? La rivoluzione deve passare per forza dalle istituzioni o può partire dal basso, dai comportamenti delle persone? Probabilmente è la combinazione delle due cose: un cambiamento strutturale porta a un cambiamento culturale e viceversa. Di certo di strada da fare ne abbiamo ancora tanta.

Intanto, per chi volesse prendere ispirazione, ecco qualche dritta per un lungo, tranquillo weekend a Copenaghen. Attenzione ai prezzi, la città è cara e per dormire le case in affitto sono più economiche degli alberghi: molte sono a Vesterbro, ex quartiere operaio oggi animato da bar e ristoranti, se vi muovete in bici (altamente consigliato) è molto comodo. Non perdete assolutamente il museo Louisiana, 30 minuti di treno fuori Copenaghen, uno dei musei più belli che io abbia mai visto, sul mare, immerso nel verde, solo la stanza dedicata a Giacometti vale il viaggio; gli smorrebrod (pane di segale con carne, pesce o verdura) e la limonata fatta in casa di Aamanns, semplicemente deliziosi; il quartiere Brumleby, il primo intervento di edilizia sociale oggi diventato un’oasi di pace nel verde; il cimitero Assistens Kirkegard con le tombe nascoste all’ombra degli alberi; l’aperitivo da Kayak bar sul canale Borsgraven davanti al via vai delle barche; una serata di jazz a La Fontaine. Nella foto le case colorate di Nyhavn.

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